
Archiviato Umbria Jazz, a due giorni da una chiusura per alcuni sofferta e per altri agognata, Perugia torna alla normalità. E come d’abitudine,
parte la corsa alla critica o all’adulazione del festival che dà lustro internazionale e porta soldi ad un’intera città.
E nell’edizione 2010, chi sale e chi scende? O meglio, in che cosa UJ merita plausi e in che cosa invece la “gogna”? Tra le lamentele più diffuse, carpite qua e là lungo Corso Vannucci, discusse con gli amici davanti all’ennesima birra, c’è
il silenzio di Piazza IV Novembre. Rispetto ai precedenti anni i concerti sono solo un paio ogni sera e piuttosto brevi: tra una band e l’altra risuona fastidiosa l’assenza di musica e la piazza davanti al palco si svuota a favore delle entrate dei bar.
Molto meglio ai Giardini Carducci, dove la musica (seppur stesse scalette e stessi artisti per dieci lunghi giorni) accompagna l’intera giornata del turista e del perugino, jazz no stop. Insomma, chi non poteva o voleva accedere al cartellone ufficiale a pagamento era in grado di scovare alternative nel palcoscenico a cielo aperto di UJ. Anche perché quest’anno è tornata con prepotenza una delle peculiarità delle edizioni storiche, che negli ultimi anni sembrava essere perduta:
l’anima zingara del festival. Tanti i gruppi e gli artisti che si sono esibiti, cappello alla mano, in piazza della Repubblica, in Piazza Italia, sotto i portici del Duomo, in via dei Priori (foto Francesco Lucchese):

a qualsiasi ora era possibile imbattersi in giovani artisti e gruppi soul. E non sono mancate
band originali, girovaghe, improvvisate, ufficiose nei locali del centro storico: in molti hanno offerto per tutta la durata del festival musica di alto livello al di fuori degli schemi ufficiali. Un punto a favore di Umbria Jazz.
E il cartellone ufficiale? Anche qua l’ago della bilancia pare rimanere in equilibrio. Da una parte,
Morlacchi e Oratorio di San Cecilia hanno spalancato i sipari al miglior jazz, al jazz autentico e ricercato, onorando a pieno le origini del festival. Stesso dicasi per i tre ristoranti convenzionati, Brufani, Taverna e Bottega del Vino dove ogni pasto era accompagnato da grande musica. Dall’altra
l’Arena Santa Giuliana, vetrina per eccellenza di UJ e catalizzatore di “masse”, ha svicolato il jazz scontrandocisi solo le sere di giovedì e venerdì con Pat Metheny e Sonny Rollins: per il resto un’accozzaglia di reggae, hip hop, taranta, rock e musica brasiliana. L’ultima sera, domenica 18 luglio, il gran finale aperto al pubblico: musicisti bravissimi, virtuosi della chitarra e del pianoforte, ma male assortiti. Quasi un happening senza un vero filo conduttore.

Infine, i servizi.
Toilette pubbliche praticamente introvabili (lontani e pochi i bagni chimici), ma quelle di bar e pub a disposizione della città. Bene l’ordinanza del sindaco che ha allungato gli orari di apertura dei locali e di permesso alla somministrazione di alcol. Ma i prezzi sono schizzati quasi alle stelle. Sia quelli dei bar (in molti hanno alzato di 50 cent. o un euro birre e cocktail) che dei ristoranti (in alcuni casi i piatti del menu hanno subito un rincaro fisso di 2 euro!). Ma soprattutto quelli ufficiali della manifestazione. Birre, snack e pasti caldi non proprio a buon mercato agli stand dei Giardini Carducci e all’Arena. Quattro euro e mezzo per una bionda media non invogliano certo a spendere e spandere.
E voi che ne pensate?Chiara Cruciati